Da parte di Paola… dal Comitato Centrale dell’ANPI

Il Comitato Nazionale dell’ANPI

In relazione ai diversi progetti che si vanno formulando, anche in sede governativa, a riguardo di un sistema di riforme costituzionali, ribadisce la più ferma contrarietà ad ogni modifica, legislativa o di fatto, dell’art. 138 della Costituzione, che – semmai – dovrebbe essere rafforzato e del quale in ogni caso, si impone la più rigorosa applicazione;

conferma il netto convincimento che il procedimento da seguire non può che essere quello parlamentare, attraverso gli strumenti e le commissioni ordinarie, non essendovi ragione alcuna per eventuali nuove formule e strutture, essendo più che sufficiente quanto già previsto dai regolamenti parlamentari; riafferma l’inopportunità del ricorso ad apporti esterni che in qualche modo incidano sul lavoro parlamentare e che non siano quelli già previsti, attraverso i quali si possono acquisire opinioni e contributi di esperti, mediante pareri, consultazioni, audizioni e quant’altro;

conferma la convinzione, più volte espressa, che le riforme possibili ed auspicabili sono solo quelle che risultano in piena coerenza con i princìpi della prima parte della Costituzione e con la stessa concezione che è alla base della struttura fondamentale della seconda, indicando fra le riforme possibili, la diminuzione del numero dei parlamentari, la differenziazione del lavoro delle due Camere, l’abolizione delle province; tutte materie sulle quali esiste già una notevole convergenza e che non pongono problemi di coerenza complessiva; ribadisce quanto già espresso in varie occasioni, vale a dire la netta opposizione dell’ANPI ad ogni riforma che introduca il presidenzialismo o il semipresidenzialismo, non risultano ragioni evidenti per stravolgere il delicato e complesso sistema delineato dal legislatore costituente;

conferma ancora una volta, l’assoluta e prioritaria necessità di procedere alla modifica della legge elettorale vigente, da tutti ritenuta inadeguata e dannosa;

invita tutti gli organismi dell’ANPI ad impegnarsi a fondo su questi temi, promuovendo dibattiti e confronti, irrobustendo l’informazione ai cittadini, assumendo tutte le iniziative (a partire da quelle per il 2 giugno e in particolare da quella di Milano), idonee ad ampliare il consenso attorno a queste posizioni, d’intesa con altre associazioni democratiche e con tutte le forme di aggregazione di cittadini interessati a problemi di ordine costituzionale, chiarendo soprattutto che non si tratta di restare ancorati a tutti i costi ad un sistema immodificabile, ma di impedire ingiustificate alterazioni di esso e assicurare che non vengano poste in atto misure pericolose, suscettibili di scardinare la profonda ed intima coerenza del sistema costituzionale, senza alcun vantaggio per la democrazia.

Roma, 16 maggio 2013

Commento al contributo di Circolo del 6 maggio – Alberto

Carissimi amici del PD,

Condivido il documento al 90%. Manca il passaggio fondamentale della proposta Rodotà come Presidente e le spiegazioni del grande rifiuto mai arrivate.Già con questa scelta, non fatta, le cose potevano evolvere molto diversamente.La volontà degli iscritti, per quanto mi risulta, era comunque sicuramente altra da come si sono evolute le cose.E’ evidentemente necessario il rinnovamento interno al partito.

Nella speranza che le cose cambino in fretta, io resto.

Buon lavoro.

Alberto

Documento approvato assemblea Circolo PD Centro Cittadino 6 maggio

Temi centrali della campagna elettorale erano lavoro e governo di cambiamento: l’esito del voto non ci ha dato i numeri per governare, non dandoci di fatto la possibilità e la forza politica  per implementare tali proposte.

Si sono poi susseguiti 60 giorni difficili. Si è così configurata la mancanza di determinazione e la mancanza di autorevolezza della guida politica per mantenere compatto il partito. Durante questa delicata fase, il partito ha smarrito il contatto con la realtà. Non c’è stata chiarezza e unità di intenti; si è assistito al manifestarsi ancora una volta al dispiegarsi di “correnti personalistiche” che niente hanno a che fare con gli interessi del PD stesso. Soprattutto, la dirigenza nazionale non ha voluto ascoltare il pensiero dei militanti e degli iscritti. Insomma, non è stato il PD che invece volevamo vedere all’azione.

Contestiamo alla dirigenza nazionale la mancata spiegazione delle decisioni cruciali prese in occasione dell’elezione del Presidente della Repubblica, partendo dal nome di Franco Marini. Gravissimo, una “vigliaccata”, l’affossamento del nome di Prodi. Dopo lo shock di questo attacco al PD, si è resa obbligatoria l’elezione di Napolitano, per uscire dalla fase di stallo. I problemi della classe dirigente si sono svelati in tutta la loro drammaticità nel’elezione del capo dello Stato.

Il compito del Governo, in questo difficile passaggio politico, deve essere chiaro fin da subito: deve essere di breve durata, utile per dare le risposte più urgenti, stabilendo obiettivi chiari e raggiungibili in poco tempo : misure per il lavoro e contrasto della precarietà, misure per la creazione di posti di lavoro,  cambiamento della legge elettorale. Chiediamo soprattutto che come partito si manifesti una visione strategica forte che difenda le nostre posizioni. E’ necessario che venga reso chiaro su quali fronti non è possibile cedere alle pretese del PDL… e che si impedisca a Berlusconi di ricoprire qualunque incarico istituzionale.

E’ ora di rimboccarsi le maniche. Il Congresso del nostro partito dev’essere il prima possibile, compatibilmente con la necessità di correttezza e di chiarezza del percorso e delle regole. Deve avere natura ricostruttiva, partendo dagli iscritti, che ne devono essere i protagonisti,  e coinvolgere tutte le strutture di partito. Chiediamo che sia studiato un metodo comunicativo migliore ed efficace, affinché le proposte della base e dei circoli, luoghi innanzitutto di discussione ed elaborazione politica,  abbiano peso nel dibattito.

E’ necessaria anche la distinzione tra cariche politiche e cariche amministrative;  nonché la necessità di colmare il distacco tra partito a livello locale e a livello nazionale, e tra amministratori a livello locale e nazionale.

Tutto questo con un occhio attento e vigile, perché ci aspetta la grande prova delle amministrative l’anno prossimo.

CONTRIBUTO in vista dell’Assemblea di Circolo del 6 maggio 2013 – ANNA PAOLA

Cari compagni e amici democratici, non riesco a venire stasera all’assemblea; sono ancora convalescente e mi muovo con qualche limite ancora per un po’ di tempo.

Non so se queste poche riflessioni saranno di qualche utilità, ma credo che ogni iscritto abbia non solo il diritto ma anche il dovere di dire come si pone ora di fronte alla situazione del PD e del Paese in cui viviamo e siamo cittadini.

Intanto per tutta la durata del governo Monti ho aspettato invano che il PD battesse davvero i pugni sul tavolo per fare la riforma elettorale. Napolitano aveva dato più volte pressanti moniti perché il parlamento lo facesse mentre i tecnici arginavano l’imminente bancarotta dello Stato. Invece…..stiamo patendo le conseguenze della mancata riforma.

Non parlo qui degli errori in campagna elettorale, tanti, e passo oltre.

Avrei bisogno di “spazio per scaricare”:

1)      la frustrazione, l’incredulità, la rabbia e lo scoramento che ho vissuto come tantissimi altri nelle settimane dei tentativi di Bersani di dar vita a una maggioranza per il governo di cambiamento che aspettavamo, ormai quasi stremati nell’attesa,

 e di ancora più spazio per

2)      il disgusto e il furore (di mente e di cuore) di fronte al voto assurdo per l’elezione del Presidente della Repubblica, con quei 101 vili e irresponsabili che hanno fatto il contrario di quanto deciso la sera precedente.

Dico solo questo, in proposito:

1) Con tutto il rispetto e l’apprezzamento per il suo grande lavoro a difesa della Repubblica e della Costituzione, ritengo che il Presidente Napolitano avrebbe potuto consentire a Bersani di andare davanti al Parlamento col suo programma a verificare se fosse possibile una maggioranza “di scopo”al Senato, e non esigere invece la certezza della maggioranza da verificare col mandato esplorativo prima dell’incarico.  E’ vero che Napolitano era a fine mandato e in caso di insuccesso di Bersani si poteva porre il problema – dato il semestre bianco – di non poter sciogliere le Camere: è un’obiezione sensata e che accetto (forse invece avrebbe potuto dare l’incarico ad un altro).

Tuttavia la via crucis di Bersani con i colloqui coi M5S e il dileggio costante di Grillo è stata intollerabile.

2) La conduzione degli incontri per trovare l’intesa più ampia possibile per l’elezione del Presidente della Repubblica è stata inficiata anche da resoconti dei media che hanno dato l’impressione – in parte comunque un vero dato di fatto – che il PD già azzoppato finisse col giocare di rimessa e accettasse il candidato gradito a Berlusconi (dico proprio a lui) fra una rosa di nomi che era andata via via restringendosi. Ecco che la comunicazione all’assemblea dei “grandi elettori” del PD dell’accordo sul nome di Marini ha suscitato riserve, proteste e richieste di fermarsi: molti iscritti ed elettori del PD reagivano infatti con un moto di rifiuto ricevendo l’impressione di un accordo stonato (vi ricordo che i giornali, twitter ecc. dicevano che Marini si era recato a palazzo Grazioli “forse per tranquillizzare Berlusconi sul suo ruolo di garante”).   Quella discussione e quei contrasti erano chiari, alla luce del sole, nella dialettica interna la Partito. La cosa indecente è stata l’altra: dopo la bocciatura di Marini, la proposta della candidatura di Prodi all’unanimità è stata seguita dal voto vergognoso e dall’imboscata che ha abbattuto il PD!!!

Questo per me è un punto insuperabile: chi non sa dire quel che pensa, non si confronta con gli altri negli organismi di cui fa parte (e non ci è andato per grazia divina ma perché scelto da tutti noi con le primarie) e non valuta neppure le conseguenze delle proprie cattive azioni non merita di stare a quel posto. Ed è intollerabile che non sappiamo chi erano quei 101. Mi sono sentita tradita due volte: da cittadina e da iscritta PD.

Tutto il resto che è seguito era inevitabile. Bersani ha fatto molti errori, e da persona seria, onesta e per bene come pochi, si è dimesso. Abbiamo di nuovo Napolitano come Presidente della Repubblica, e sappiamo che da ben prima caldeggiava le larghe intese per il governo.

Letta sta facendo quello che solo è possibile nella situazione data, e va sostenuto se e fino a quando corrisponderanno il dire e il fare. Ieri sera a “Che tempo che fa”, per esempio, ha dichiarato che se fosse costretto a fare tagli a scuola, ricerca, cultura si dimetterebbe.

L’Italia è a rischio da molti punti di vista, e paghiamo tutti l’inerzia e le debolezze di troppi anni.

E il PD??

Credo che abbia ragione Reichlin, nell’intervento scritto sull’Unità del 1° maggio: è compito della sinistra democratica, laica e riformista dare prospettive e speranze al Paese, senza piangersi addosso e rimboccandosi le maniche.

Se il PD sarà laico, inclusivo, consapevole che siamo a un crinale della storia e che va impedita la decadenza dell’Italia e con essa il fallimento della costruzione europea come la vogliamo allora avrà senso e sarà utile al progresso di tutti.

Ci vuole un congresso che ridefinisca il compito e il ruolo del partito in rapporto alla situazione. Non se ne può più di ambizioni personali e di “guerre di posizione” che ci fanno fare la fine dei polli di Renzo (Anna, se qualcuno non lo sa, ricordagli i Promessi sposi). Basta: il PCI è finito nel ’90, la DC è finita nel ’92. Sono più di vent’anni. Adesso c’è il PD, e molti sono nati nel PD.

Ritengo anche che il segretario del partito vada eletto dagli iscritti ( a suo tempo io mi iscrissi la prima volta al PD perché ero convinta che per votare il segretario bisognasse essere iscritti, e ci tenevo a dire la mia) e che il candidato premier vada invece scelto con le primarie aperte agli elettori. Perciò sarei favorevole a un cambiamento dello Statuto su questo punto.

La rappresentanza dei cittadini negli organismi e nelle istituzioni deve essere vissuta come un servizio, in cui spendere passione e competenze, e non come una carriera o un lavoro che “risolve” la vita degli eletti (a volte ci vorrebbe uno psicanalista per far accettare a qualcuno che la vita ha senso anche quando si torna a un lavoro normale e a una militanza normale).

Non credo poi che il rinnovamento si faccia per via anagrafica, ma per visioni e idee che affrontino il presente e il futuro.

Per ricostruire il Paese occorre un nuovo patto sociale, uno spostamento profondo dei poteri e delle culture dominanti, una forte ridistribuzione della ricchezza. Occorre anche un’idea economica basata sulla qualità, sostenibilità, conoscenza, integrazione sociale, con un forte ruolo della scuola pubblica per i nuovi cittadini. Come dopo la guerra. Questo che viviamo è quasi un dopoguerra di macerie….

Anna Paola

CONTRIBUTO in vista dell’Assemblea del Circolo – 06/05/13 – ROBERTO

Siamo nel caos. Nel Paese, ovviamente, ma ancor più evidentemente nel PD. Questo è l’assunto.

Chi è d’accordo troverà sensato proseguire nella lettura di questo modesto contributo da militante. Chi non è d’accordo e reputi che, in fondo, si tratti solo di un momento passeggero di confusione, come se ne sono affrontati e superati altri (con le solite e patetiche “strategie di tacitamento” dei malumori della base, sigh!) potrà più utilmente dedicarsi ad altro.

Il Partito è nel caos, si diceva. Limitiamoci, per un attimo, a considerare questo microcosmo, se no ci vengono le vertigini.

In questo periodo in cui – giustamente – molti di noi soffrono e intervengono nel dibattito interno, ho ascoltato, soprattutto da parte dei gruppi dirigenti (quando non ammutoliti dagli eventi) le più raffinate analisi e i più circonvoluti algoritmi filosofico-social-politici, nel (vano) tentativo di tenere comunque il dibattito almeno una spanna al di sopra del mare di m**** (gli asterischi li ho messi io) sul quale stiamo faticosamente galleggiando, perché si sa, noi siam fatti così: siamo i migliori, quelli che hanno ragione, ce lo riconoscano o no gli elettori.

Valutazioni da far rabbrividire, distinguibili in due principali fattispecie: quelle ”contro qualcun altro di noi”, oppure quelle fatte di “parole adesive”, idonee all’arrampicamento sugli specchi. Misere le prime, penose le seconde, direi. E in entrambi i casi fatica sprecata, roba che in questo momento non serve e, anzi, fa danno (e fa anche piuttosto inca**are).

Vogliamo tentare di mettere un po’ d’ordine alle idee? alle intenzioni? alle analisi politiche? agli obiettivi?

Vogliamo ritrovare motivazioni? fiducia? speranza? e un grande PD con vocazione maggioritaria?

Allora proviamo a lasciar perdere le complicazioni intellettuali e facciamo insieme questo semplice esercizio didattico: mettiamo in ordine decrescente di importanza questi aspetti, affiancando i numerini ai temi:

- i valori e i principi ai quali si ispira il Partito

- i bisogni della gente, delle famiglie, dei giovani, dei disoccupati, delle

imprese, ecc.

- i programmi: quello d’emergenza, poi quelli a medio e lungo termine

- la “forma Paese”: le riforme costituzionali ed istituzionali

- la “forma Partito”: struttura ed organizzazione

- il tema della comunicazione (soprattutto in fase elettorale)

- il tema delle allenze

In questa lista, priva di numeri d’ordine, ho comunque messo le cose secondo un grado di priorità che, grossomodo, ritengo possa essere abbastanza condiviso, da me per primo.

Ebbene, invece – invece perfino a me stesso – credo che stavolta ai primi posti ci debba andare ciò che di norma si mette – nobilmente – in coda: la comunicazione e l’organizzazione del Partito. Già, perché credo che le recenti, tragiche e vergognose esperienze del PD abbiano messo quanto mai in risalto uno dei più vecchi e incancreniti difetti del nostro Partito, che viene sì da lontano, ma non certo dai ”gloriosi” PCI e DC (che sapevano ascoltare la loro gente), bensì da certa classe dirigente, autorefenziale e narcisista, che ancora c’è e che rivendica un ruolo dominante nel Partito: la linea la si decide a Roma, in un ristretto e privilegiato gruppo di “aventi titolo” (capi-corrente, portatori di interessi, detentori di potere, difensori di bandiera degli ex Partiti, ecc.)… e poi da lì in giù, verso le segreterie territoriali, le sezioni e i circoli, è tutto un “blandire” e convincere la base sulla bontà di ciò che ha stabilito il Capo. Un Capo ipocrita, un’entità senza nome, che si finge aperta e democratica, ma che sotto sotto non è poi così diversa, quanto meno negli effetti, da quel genere di Capo-proprietario con nome e cognome, che si mostra nella sua impudicizia e al quale si deve rispetto e obbedienza in virtù della salvaguardia dei propri interessi, compresi quelli biechi.

La comunicazione in direzione opposta, cioè dalle periferie a Roma, invece non funziona. Sì, certo, si tengono le assemblee degli organi e tutto quanto fa parte del cerimoniale “democratico” di cui siamo tanto orgogliosi… ma è tutta una finta.

E’ solo un rito sterile. Una messinscena triste, di cui non se ne può più! Ad ogni congresso ci si studia… poi ci si posiziona… poi ci si conta… e magari a cose fatte ci si ri-posiziona coi vincitori. E poi via con lo spoil-sistem: chi ha vinto ”mette i suoi” e si piglia roccaforti e segreterie, così da essere in grado di far passare, il più comodamente possibile, la linea dell’innominato Capo Supremo, unico indiscutibile detentore della Ragione di Partito. Quel Capo “vero” rappresentato solo in parte, e forse in quella minore, dal Segretario Nazionale.

Da Roma si usa l’amplificatore. Verso Roma la sordina.

Così non va. Può funzionare lì per lì, ma alla lunga non regge. Con questo sistema non si fonda e non si gestisce un partito che intenda essere davvero democratico, che abbia ambizione di ottenere successi elettorali e che voglia bastare a costituire una maggioranza di governo. Questo è un sistema vecchio e fallimentare.

Ne abbiamo appena ricevuta una cocente prova.

Non deve servire Grillo a ricordarcelo, possiamo capirlo da soli: i tempi sono cambiati, questo mondo è un altro mondo, ormai. Logiche e sistemi socio-politici da prima e seconda repubblica non reggono più. Fermi i valori e dati i bisogni, i partiti del terzo millennio devono saper diventare un’altra cosa. Possiamo infischiarcene degli altri, ma facciamo che il PD ne sia capace. La gente che ne sarebbe capace c’è già. Togliamogli la sordina… e se ne aggiungeranno tanti altri.

Se non si capisce questo e se non si lavora a questo, insieme, da subito e innanzitutto, ricominciando da capo, e senza andare a caccia di colpevoli, tutto il resto rischierà di restare aria fritta.

Roberto Giacometti (erregi58@libero.it)

CONTRIBUTO in vista dell’Assemblea del Circolo del 6/05/13 – MAURO

Per uscire dal contingente, anche perché ormai ritengo inutile parlare di cosa è meglio fare rispetto a cosa si è già fatto, ma rimanendo collegati a quanto ciò che è accaduto in questi giorni può indicarci, vorrei proporre alla discussione attuale o futura due aspetti che ritengo fondamentali per RIFONDARE Il nostro partito: il partito stato-centrico e il rapporto tra democrazia rappresentativa e democrazia deliberativa (Vedi il documento di Barca scaricabile anche da qui: https://docs.google.com/file/d/0Bw_riUOllMNBZzNuTnFNTkdxNVU/edit?usp=sharing. )

Il primo tema riguarda da vicino cosa intendiamo per partito, o meglio quale pensiamo debba essere la funzione del partito. Se da un lato il partito svolge un’importante funzione di formazione e selezione degli eletti o nominati a vari ruoli amministrativi, dall’altro si sente la mancanza del ruolo di controllo e di proposta nei confronti degli organi di amministrazione della cosa pubblica, siano essi consigli comunali, regionali, parlamento, giunte, o governo.

<<La lontananza dei partiti dalla società, la loro estrema debolezza nell’interpretare bisogni e soprattutto nel portare le ipotesi elaborate o le soluzioni praticate nei diversi luoghi del paese, la loro incapacità di incalzare lo Stato con forza e intelligenza ma anche di dargli fiducia e di verificarne gli impegni, l’ho personalmente avvertita con nitidezza nei mesi di governo come Ministro per la coesione territoriale.>> (F. Barca, 2013)

Il tema riguarda certamente la recente proposta di Renzi di distinguere il segretario del partito dal candidato premier, proposta che condivido, ma si estende a tutti i livelli dell’amministrazione, governo, regioni e comuni, ma anche aziende pubbliche come si diceva prima. Gli svantaggi della situazione attuale sono evidenti, credo. Per molti amministratori sembra che il partito debba essere una sorta di megafono per convincere i cittadini della buona amministrazione dei suoi eletti. Questo significa che il partito, all’interno di un conflitto che vede gli amministratori da una parte e i cittadini dall’altra, cosa che accade non di rado ovviamente, viene immediatamente identificato con l’amministrazione facendo mancare, ipso facto, il ruolo di rappresentanza dei cittadini, delle loro istanze o contestazioni.

Questo non può che portare alla ricerca di altri nella rappresentanza dei propri interessi, e alla perdita di rapporto tra partito e cittadini. Se non sono concorde con un inceneritore, come spesso accade, ma l’amministrazione cittadina decide di avvallarlo, a chi mi posso rivolgere per trovare un luogo in cui le mie ragioni possano avere diritto di essere espresse e ascoltate? Il partito stato-centrico non potrà mai apparire colui che allestisce questo luogo per i cittadini, e nel momento in cui una società diventa abbastanza complessa da non permettere più l’omologazione di tutte le istanze all’interno di un unico contenitore sociale, il partito stato.centrico, il luogo di espressione ed eventuale composizione degli inevitabili conflitti non sarà più il partito, come non è più da tempo, ma saranno altri movimenti, più o meno spontanei, altre forme di aggregazione dei cittadini.

Quando il M5S dice che i partiti sono morti, non credo che come buoni politici si possa semplicemente fare la faccia offesa e accusare a nostra volta il M5S di nefandezze varie. I partiti, come li abbiamo conosciuti fino ad oggi, non svolgono più la funzione che la costituzione demanda loro, o la svolgono male o in minima parte. Al di là di libertà lessicali più o meno simpatiche, la sostanza del discorso non cambia molto.

Il primo banco di prova di questa situazione sarà il nuovo governo: già con il governo passato il partito ha chiesto di tacere/tollerare/capire ai suoi iscritti di fronte alle operazioni sicuramente non molto eque di finanza pubblica, e molti cittadini si sono rivolti altrove, non accettando di tacere/tollerare/capire e non trovando spazio per le loro parole. Con il nuovo governo, se riterrà opportuno non trattare temi scomodi come il conflitto di interessi, il partito farà da catena di trasmissione o di fronte alle istanze dei cittadini che da molti anni chiedono che venga risolto questo problema, aprirà un confronto con loro e darà spazio anche alle loro voci di fronte a quelle, ben più forti e potenti, di un qualunque governo?

Ecco dunque il primo tema che non dovremmo trascurare se vogliamo evitare il continuo e ormai patologico distacco dei cittadini dal partito: e il partito e i suoi eletti sono entità distinte che fanno mestieri diversi, fisiologicamente in frizione, competizione ed anche conflitto tra loro.

Il secondo tema riguarda la dinamica tra democrazia rappresentativa e democrazia deliberativa, a me caro da molto tempo, portato ancor più alla ribalta dagli avvenimenti di queste ultime settimane.

Nella democrazia deliberativa si eleggono, con diverse modalità più o meno valide e condivise, dei rappresentanti che hanno titolo e mandato di agire per conto di chi ha dato il suo voto.

Possono agire in base ad un mandato (programma politico, adesione a determinati valori, ecc.) oppure senza vincolo di mandato (una volta eletti liberi di decidere in coscienza, senza dover rispondere a chi li ha eletti – dettato costituzionale) o qualche forma intermedia tra le due (prassi consolidata – voto vincolato dall’appartenenza politica e voto di coscienza).

L’aspetto importante di questo processo è che le decisioni vengono prese da un gruppo ristretto di persone che possono quindi agire in tempi rapidi e con buone possibilità di trovare mediazioni e accordi. Gli aspetti negativi sono gli stessi, degenerati, di quelli positivi: concentrazione di potere, accordi e comportamenti orientati a interessi privati. Ci vogliono molti sforzi per evitare queste degenerazioni, e nel nostro paese questi sforzi non sembrano sortire effetti particolarmente significativi, anzi sembrerebbe che le degenerazioni stiano costantemente aumentando.

La democrazia deliberativa vuole attivare dei processi partecipati in cui cittadini informati possono discutere e proporre soluzioni a problemi che li vedono coinvolti direttamente. I sondaggi non sono definibili generalmente processi partecipati: per esempio quelli promossi con le quirinarie non hanno le caratteristiche di un processo partecipato, anche se posso offrire a volte utilissime indicazioni. Un sociologo li ha definiti un modo per far chiedere a persone che nulla sanno di un determinato problema, solitamente cogliendole alla sprovvista, di decidere su qualcosa che spesso ben poco li riguarda direttamente, e su cui magari non hanno mai riflettuto.

I processi partecipati sono profondamente intrecciati con la diffusione e comprensione di problemi, con la formazione e informazione connessa. I processi partecipati sono complessi e necessitano di impegno e luoghi di discussione, di tecniche e di persone che seguano il loro corretto svolgimento. Internet offre strumenti molto utili e interessanti ai processi partecipati, ma questi non si esauriscono in rete. (Su questo è possibile vedere le interessanti esperienze promosse da Cottica e riassunte nel suo Wikicrazia http://www.cottica.net/wikicrazia-italiano/)

La caratteristica positiva di tali processi è l’inclusione di cittadini interessati a determinati problemi, coinvolti nella ricerca delle soluzioni migliori possibili e nella costruzione di proposte da presentare agli amministratori. Questa è la sfida allo stato (al consiglio comunale, alla regione) che il partito può lanciare! Inoltre si attiverà lo sviluppo di un reale processo di empowerment delle persone (da elettori a cittadini attivi e consapevoli). L’aspetto problematico riguarda i tempi e spesso la complessità dell’attivazione di tali processi.

Il dibattito, spesso strumentale, tende solitamente ad esacerbare gli aspetti negativi dell’uno o dell’altro modello, mettendoli in contrapposizione e considerandoli inconciliabili. Impropriamente il M5S parla di democrazia deliberativa in contrapposizione a quella rappresentativa, ma ne è assolutamente distante. In merito, invece, è interessante un dibattito che evidenzia come questi due modelli possano convivere, anzi è necessario che convivano, creando una costante tensione tra rappresentatività e deliberazione, questa potrebbe essere una delle caratteristiche degli stati della post-modernità. (Su questo un interessante intervista a Luigi Bobbio, Nadia Urbinati e Pino Ferraris http://www.unacitta.it/newsite/intervista.asp?id=1585 )

Qui allora si trova la nuova e vera funzione del circolo.

Non strumento di gestione del partito perché non sfugga di mano agli amministratori, che rimbrottano segretari comunali e provinciali per le proteste spontanee sorte qui e là, per le prese di posizione critica. NON SIETE CAPACI DI GESTIRE IL PARTITO. Che brutta impressione, quanti ricordi aziendali di manipolazione e di sottile o diretta violenza per tacitare il dissenso e normalizzare le idee. Quale triste percorso verso il pensiero unico che non tollera più alcuna forma di dissenso.

Invece il circolo può e deve diventare luogo di partecipazione e discussione, palestra di confronto e elaborazione di idee, perché non è vero che pochi eletti conoscono sempre la migliore risposta da offrire alla comunità (come qualche assessore insiste a credere cedendo all’arroganza del primo della classe). E’ vero invece che le risposte migliori, che non sono buone per sempre e per tutti i contesti, si trovano nel confronto tra molte idee e nella partecipazione di molti interessi. E’ vero invece che le intelligenze sono diffuse in tutta la società, nel mondo del lavoro e nelle associazioni, nelle imprese e nel sindacato, nelle università e nelle scuole. Decidere nella torre d’avorio della propria arrogante solitudine, anzi solitamente in compagnia di un ristretto gruppo di persone, non può che continuare a portare un grande distacco tra il partito e la gente, e non può che favorire il perpetrarsi di gravi errori che danneggiano tutta la collettività.

Offro al dibattito queste mie riflessioni che nulla hanno di originale, ma sono semplicemente un contributo a quella discussione auspicata da Barca.

 Mauro

Riflessione 14

Ciao Anna, non voglio rompere, ma queste due cose le devo dire, secondo me il fatto che si sia gestito male la fase post elettorale (governo e presidenza repubblica), non vuol dire continuare (scusa l’ironia). Avevamo l’alibi servito su un piatto d’argento fornito da Berlusconi con il veto a Renzi per disimpegnarci politicamente, fare gli offesi e dire all’ opinione pubblica “avevamo proposto un nome nuovo, di cambiamento, giovane, gradito ai cattolici, gradito alle imprese, con sufficiente esperienza, insomma gradito alla maggior parte della società e abbiamo avuto il veto da chi, dopo averci condotto in questo disastro, vuole continuare a fare i propri interessi sordo ad ogni tentativo di rinnovamento e quindi ora decida il capo dello stato” (via libera ad un governo Amato di breve durata). Invece no!, Ci siamo impegnato al massimo livello politico caricandoci la responsabilità di salvatori del mondo e siamo tornati in campagna elettorale dove, ho sentito questa mattina l’antifona della rassegna stampa, Berlusconi vuole calare le tasse, anzi restituire ai cittadini quelle già pagate e noi invece passeremo per quelli che in nome della “responsabilità” le vogliamo mantenere. Insomma il partito sarà completamente assorbito ancora una volta in un campo dove diamo il peggio, cioè quello mediatico, per cercare di sostenere un “nostro” governo che alla fine Berlusconi farà cadere in nome delle tasse, anzichè dedicarci alla discussione e alla preparazione di un buon congresso chiarificatore e risolutivo ed infine alla campagna elettorale.

Scusa lo sfogo, speriamo di non essere troppo pessimista,

Franco

Riflessione 13

Sono un’iscritta al circolo centro, pur vivendo (per lavoro) lontano.

Condivido la passione e la voglia di andare avanti che tu esprimi con la tua nota. Sai bene che sarà molto duro ripartire, non tanto fra di noi (il Pd di Ferrara non mi sembra riproporre gli schemi romani: almeno fra di noi abbiamo sempre parlato chiaro, nel rispetto delle pur diverse opinioni). È duro ricominciare con gli elettori, perché tutti -ed è comprensibile- identificano il PD con l’immagine deplorevole degli ultimi mesi. E adesso-se Letta riuscirà- con le larghe intese, indigeste di più ogni volta che ci penso.

Da un certo punto di vista -cioè nella dialettica interna- io apprezzo che tutto sia scoppiato: lasciar fare a Bersani avrebbe significato portare comunque il partito allo sfascio, ma al tempo stesso veder consolidati i centri di potere della ditta Errani&C., di quella parte del nostro partito che comanda davvero perché gestisce il danaro ed è dannatamente legato a migliaia di inciuci di prassi. (su questo sarebbe utile un dibattito serio)

Preferisco appartenere un partito che vince, ma non a qualsiasi costo. Preferisco la chiarezza, il rispetto per chi ci crede in modo disinteressato per sé, per il bene comune = parole che in bocca a Bersani sono false, ma in bocca ai tanti militanti e a una buona parte dei parlamentari rispecchiano una volontà buona.

Non mi piace nemmeno lo sgomitare di Renzi. Ma non sono più riproponibili i tempi del “tutti zitti e coesi dopo le primarie che hanno stabilito un vincitore”. Il vincitore ha fatto innumerevoli errori e prima di tutto ha ritenuto di essere un monarca assoluto cancellando le ragioni di quel 40% che invece rappresentava una segnale degno di qualche riflessione. Ma i dirigenti come Bersani sono abituati a sistemare i contendenti con i contentini e forse pensava di dare qualche briciola a Renzi per metterlo buono.

Mi dispiace non partecipare alle discussioni che senz’altro ci saranno nel pd ferrara. Mando questo piccolo contributo al segretario Calvano.

Voglio infine spezzare una lancia a favore dei cosiddetti 101 “traditori”. Tutti hanno letto il loro comportamento come incoerenza e falsità fra l’approvazione unanime in direzione e il voto segreto nell’urna. Io penso invece che le cose siano andate diversamente. La candidatura di Prodi non è stata “proposta” alla discussione, è stata “comunicata” come ultima spiaggia. E così come il giorno prima nessuno ha approfondito la discussione su Marini, limitandosi ad archiviare un voto di maggioranza e a ignorare le ragioni di chi non era d’accordo, così il giorno dopo chi aveva ragioni contrarie ma non potendole proporre a un dibattito ha applaudito pensando “E vai! Continua così”.

La prima cosa che dobbiamo imparare è ASCOLTARCI.

La seconda, forse, sarebbe di guardare avanti e non indietro come con Marini, con Prodi, con Napolitano, e adesso con Berlusconi …………

W Debora Serracchiani (non perché renziana, ma perché ha convinto con la sua freschezza, il suo non legame con schemi vecchi, la sua voglia di entrare nel concreto).

Di sicuro i dirigenti nazionali non hanno un’idea -da molto tempo e per come hanno impostato la campagna elettorale- di cosa ci sia nella società italiana.

Parlano tra loro (a proposito, ogni volta che parla rosy bindi perdiamo un milione di voti) un linguaggio anacronistico per schemi e calcoli ormai falliti, sono distantissimi da tutto. Forse ha ragione chi dice “tutti a casa” perché quelle poltrone gli annullano la memoria dei motivi per cui sono là.

Rita

Riflessione 12

carissima Anna

il tuo appello è così accorato che suscita rispetto ed appunto riflessione.

Non voglio dire che non serve il tuo encomiabile entusiasmo, ma ti dico che non è sufficiente in un quadro di rottura come quello che stiamo vedendo nel gruppo dirigente del PD.Voglio dirti che forse l’entusiasmo durante la mobilitazione per le primarie non ha fatto capire che mancava la linea politica del PD. Quelle primarie erano le scelte per un primo dirigente dietro al quale non c’era un’unità politica. O meglio c’erano due linee politiche in conflitto tra loro ed un gruppo dirigente nazionale altrettanto diviso e lacerato che Bersani non è riuscito a portare a sintesi unitaria.

Chi mi conosce sa che io da sempre ho lamentato che nel PD non vi fosse una linea politica ma sempre mi si è parlato e risposto d’altro.

La mancanza di linea politica ha fatto sì che ci siamo presentati in campagna elettorale con una proposta politica inadeguata ed incomprensibile , convinti che sarebbe stato sufficiente l’entusiasmo delle primarie per vincere le elezioni.

Ma così non poteva essere perchè esistevano più linee e gruppi dirigenti uniti soltanto da antiberlusconismo ed interessi personali. Ciò era latente ed intuibile e Bersani ha cercato di nasconderlo con il suo buon senso e serietà.

Ma quando si è trattato di fare scelte univoche, come in questi giorni, tutto è esploso ed ha devastato l’unità fittizia del PD.Oggi è forse svanito il più bel sogno politico di chi crede nel riformismo progressista.

Oggi si tratta di ricostruire un nuovo partito che il PD non è riuscito ad essere perchè era il semplice incollaggio di due partiti.

Come vedi non è sufficiente l’entusiasmo e fare finta di essere uniti.

Ora io non so cosa farò, certamente non sarò più in quel PD che ha esaurito le speranze

Michele