CONTRIBUTO in vista dell’Assemblea del Circolo – 06/05/13 – ROBERTO

Siamo nel caos. Nel Paese, ovviamente, ma ancor più evidentemente nel PD. Questo è l’assunto.

Chi è d’accordo troverà sensato proseguire nella lettura di questo modesto contributo da militante. Chi non è d’accordo e reputi che, in fondo, si tratti solo di un momento passeggero di confusione, come se ne sono affrontati e superati altri (con le solite e patetiche “strategie di tacitamento” dei malumori della base, sigh!) potrà più utilmente dedicarsi ad altro.

Il Partito è nel caos, si diceva. Limitiamoci, per un attimo, a considerare questo microcosmo, se no ci vengono le vertigini.

In questo periodo in cui – giustamente – molti di noi soffrono e intervengono nel dibattito interno, ho ascoltato, soprattutto da parte dei gruppi dirigenti (quando non ammutoliti dagli eventi) le più raffinate analisi e i più circonvoluti algoritmi filosofico-social-politici, nel (vano) tentativo di tenere comunque il dibattito almeno una spanna al di sopra del mare di m**** (gli asterischi li ho messi io) sul quale stiamo faticosamente galleggiando, perché si sa, noi siam fatti così: siamo i migliori, quelli che hanno ragione, ce lo riconoscano o no gli elettori.

Valutazioni da far rabbrividire, distinguibili in due principali fattispecie: quelle ”contro qualcun altro di noi”, oppure quelle fatte di “parole adesive”, idonee all’arrampicamento sugli specchi. Misere le prime, penose le seconde, direi. E in entrambi i casi fatica sprecata, roba che in questo momento non serve e, anzi, fa danno (e fa anche piuttosto inca**are).

Vogliamo tentare di mettere un po’ d’ordine alle idee? alle intenzioni? alle analisi politiche? agli obiettivi?

Vogliamo ritrovare motivazioni? fiducia? speranza? e un grande PD con vocazione maggioritaria?

Allora proviamo a lasciar perdere le complicazioni intellettuali e facciamo insieme questo semplice esercizio didattico: mettiamo in ordine decrescente di importanza questi aspetti, affiancando i numerini ai temi:

- i valori e i principi ai quali si ispira il Partito

- i bisogni della gente, delle famiglie, dei giovani, dei disoccupati, delle

imprese, ecc.

- i programmi: quello d’emergenza, poi quelli a medio e lungo termine

- la “forma Paese”: le riforme costituzionali ed istituzionali

- la “forma Partito”: struttura ed organizzazione

- il tema della comunicazione (soprattutto in fase elettorale)

- il tema delle allenze

In questa lista, priva di numeri d’ordine, ho comunque messo le cose secondo un grado di priorità che, grossomodo, ritengo possa essere abbastanza condiviso, da me per primo.

Ebbene, invece – invece perfino a me stesso – credo che stavolta ai primi posti ci debba andare ciò che di norma si mette – nobilmente – in coda: la comunicazione e l’organizzazione del Partito. Già, perché credo che le recenti, tragiche e vergognose esperienze del PD abbiano messo quanto mai in risalto uno dei più vecchi e incancreniti difetti del nostro Partito, che viene sì da lontano, ma non certo dai ”gloriosi” PCI e DC (che sapevano ascoltare la loro gente), bensì da certa classe dirigente, autorefenziale e narcisista, che ancora c’è e che rivendica un ruolo dominante nel Partito: la linea la si decide a Roma, in un ristretto e privilegiato gruppo di “aventi titolo” (capi-corrente, portatori di interessi, detentori di potere, difensori di bandiera degli ex Partiti, ecc.)… e poi da lì in giù, verso le segreterie territoriali, le sezioni e i circoli, è tutto un “blandire” e convincere la base sulla bontà di ciò che ha stabilito il Capo. Un Capo ipocrita, un’entità senza nome, che si finge aperta e democratica, ma che sotto sotto non è poi così diversa, quanto meno negli effetti, da quel genere di Capo-proprietario con nome e cognome, che si mostra nella sua impudicizia e al quale si deve rispetto e obbedienza in virtù della salvaguardia dei propri interessi, compresi quelli biechi.

La comunicazione in direzione opposta, cioè dalle periferie a Roma, invece non funziona. Sì, certo, si tengono le assemblee degli organi e tutto quanto fa parte del cerimoniale “democratico” di cui siamo tanto orgogliosi… ma è tutta una finta.

E’ solo un rito sterile. Una messinscena triste, di cui non se ne può più! Ad ogni congresso ci si studia… poi ci si posiziona… poi ci si conta… e magari a cose fatte ci si ri-posiziona coi vincitori. E poi via con lo spoil-sistem: chi ha vinto ”mette i suoi” e si piglia roccaforti e segreterie, così da essere in grado di far passare, il più comodamente possibile, la linea dell’innominato Capo Supremo, unico indiscutibile detentore della Ragione di Partito. Quel Capo “vero” rappresentato solo in parte, e forse in quella minore, dal Segretario Nazionale.

Da Roma si usa l’amplificatore. Verso Roma la sordina.

Così non va. Può funzionare lì per lì, ma alla lunga non regge. Con questo sistema non si fonda e non si gestisce un partito che intenda essere davvero democratico, che abbia ambizione di ottenere successi elettorali e che voglia bastare a costituire una maggioranza di governo. Questo è un sistema vecchio e fallimentare.

Ne abbiamo appena ricevuta una cocente prova.

Non deve servire Grillo a ricordarcelo, possiamo capirlo da soli: i tempi sono cambiati, questo mondo è un altro mondo, ormai. Logiche e sistemi socio-politici da prima e seconda repubblica non reggono più. Fermi i valori e dati i bisogni, i partiti del terzo millennio devono saper diventare un’altra cosa. Possiamo infischiarcene degli altri, ma facciamo che il PD ne sia capace. La gente che ne sarebbe capace c’è già. Togliamogli la sordina… e se ne aggiungeranno tanti altri.

Se non si capisce questo e se non si lavora a questo, insieme, da subito e innanzitutto, ricominciando da capo, e senza andare a caccia di colpevoli, tutto il resto rischierà di restare aria fritta.

Roberto Giacometti (erregi58@libero.it)

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